Riceviamo la testimonianza della nostra lettrice Ernestina
“Sono cosciente del fatto di non essere la prima a scrivere della situazione disastrosa del PS di Cosenza, ma onestamente vorrei tanto dire anche la mia.
Mi sono trovata in un lager degno della seconda guerra mondiale, povere anime accatastate all’interno di stanzette 2 metri per 2, in una di queste stanze mia nonna 95enne in condivisione con altre sei pazienti, altrettanto gravi.
Mi ritrovo a parlare con parenti, che mi dicono che aspettano un posto letto da più di 10 giorni, ovviamente mi sale la rabbia e credo che in questo ospedale non vi sia organizzazione e voglia di lavorare. Invece, quando vengo ricevuta dai medici, mi rendo conto, che le prime anime in pena sono loro, pochi, pochissimi che devono gestire centinaia di persone, che vanno dal codice bianco al codice rosso, molte volte anche pazienti inviati dai Ps di altri ospedali.
Persone, prima che medici, persone che cercano di fare del loro meglio, senza mezzi e senza personale, che a prescindere hanno una parola buona, e se anche frettolosamente, perché non c’è tempo da perdere, cercano, con flebile sorriso di spiegarti la situazione.
La cosa peggiore è che cercano anche di giustificarsi, perché di più davvero non possono fare.
No, miei cari signori, non sono loro che devono giustificarsi perché il loro lavoro scorre lento e non riescono a far fronte a tutto, sono ben altri che devono darci spiegazione di come siamo arrivati a questo ospedale stile terzo mondo.
Sono felice che la Calabria investa in altre regioni con le sue favolose piste di ghiaccio.
Ma, sarei molto più felice, se la Calabria pensasse di più ai suoi figli, non solo a chi si ammala, ma anche a questi soldati, che sul loro campo di battaglia, lottano per salvare vite umane.
Forse una pista di ghiaccio in meno ci darebbe poco lustro, ma qualche medico in più, forse ci darebbe la possibilità di non vedere morire i propri cari per carenza di strutture e personale.
Riflettete signori al governo, e ricordate che dovreste operare secondo il criterio del buon padre di famiglia, che non farebbe morire i suoi figli per divertire i figli degli altri.”
Ernestina Bevacqua