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Lettere 2.0: “Asp di Cosenza – Infastiditi nel rispondere al telefono ma ancora non è chiaro in che situazione ci troviamo?”

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Riceviamo lo sfogo di una nostra lettrice

 

 

 

 

“Sona una cittadina di Cosenza di 32 anni, affetta da Covid-19.

Ho contratto il Coronavirus sul posto di lavoro, tramite contagio a catena, ho avuto sintomi sin dall’inizio e ho provveduto a contattare l’A.S.P. di Cosenza per comunicare il tutto, in modo da poter essere sottoposta al tampone molecolare in quanto ero stata a contatto con casi positivi.

Già dalle prime telefonate ho avuto modo di constatare personalmente l’inefficienza del personale addetto alla comunicazione telefonica: mi sono sentita dire che mi avrebbero “messa in lista” – come se si trattasse di un ingresso in discoteca -, che avrei dovuto attendere, che “a cosa ti serve fare il tampone se hai già i sintomi? Sicuramente sei positiva.”.

Mi sottopongo al tampone giorno 12 marzo, recandomi personalmente presso drive in dopo giorni di malessere.

Specifico che non mi è stato mai suggerito l’intervento di alcun medico presso il mio domicilio, anche come dopo aver segnalato come ripeto tutti i giorni i miei sintomi.

Per poter essere a conoscenza dell’esito, ho dovuto inviare molteplici mail, e, pur essendo positiva, mi è stato comunicato soltanto giorno 18 e previe mie lamentele.

E’ troppo comodo invitare – sgarbatamente – a mantenere la calma, in una situazione del genere, dal momento che, purtroppo, inevitabilmente, si coabita con altre persone, i famosi congiunti che magari hanno patologie pregresse, magari sono ultraottantenni, e magari ho il sacrosanto diritto di sapere se ho contratto il Covid.

La maleducazione si è protratta fino al momento in cui, dopo aver effettuato il secondo tampone (a distanza di 12 giorni dal primo, con esito positivo) chiamo al numero della Centrale Operativa Territoriale per avere notizie sul risultato: dopo il 20esimo tentativo di telefonata, e dopo aver sottolineato alla mia interlocutrice che è estenuante stare al telefono a vuoto e attendere che qualcuno si degni di rispondere (qualcuno che percepisce uno stipendio per rispondere al telefono), mi sono sentita dire “ora ho risposto” e alle mie lamentele, mi sono vista chiudere il telefono in faccia.

Richiamo, faccio presente al nuovo interlocutore che è alquanto ridicolo che siano loro a lamentarsi e che se noi pazienti telefoniamo non è perché non sappiamo come trascorrere il tempo, ma è perché siamo pazienti Covid, stiamo male, abbiamo il diritto di avere notizie degli esiti dei tamponi, e il giovane di turno mi risponde, in dialetto cosentino che loro non sono tenuti a dare informazioni.

Vi sembra corretto tutto ciò?

Dall’altro capo del telefono probabilmente ci sono medici che stanno sputando sul giuramento di Ippocrate, perché i soldi valgono molto più dei pazienti.

Poveretti, si infastidiscono nel rispondere al telefono, ma ancora non è chiaro in che situazione ci troviamo?

Vorrei dare un consiglio a chi gestisce tali strutture: faccia un monito a coloro che rispondono al telefono, che ogni tanto un pizzico di empatia non guasterebbe.”

 

A.D