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Il cosentino Enrico Caruso e la sua incredibile arte del “Handpan”

Il suono dell’Handpan di Enrico Caruso: le vibrazioni a ritmo di musica

 

 

 

Ritrovare la memoria perduta è uno dei pezzi più importanti della nostra storia, delle nostre vite, dei nostri vissuti, del nostro passato e del nostro presente,ci racconta qualcosa di noi, la parte mancante di un puzzle chiamato “vita”, e sulle orme di Marcel Proust a ciascuno di noi tocca attendere il momento giusto per ritrovare se stessi.

Una ricerca del tempo che Enrico Caruso, classe 1988 e nativo di Amantea,  testimonia attraverso i suoi strumenti musicali, una musica imperniata da melodie, suoni, rumori e suggestioni,tipiche di chi si emoziona e lascia emozionare.

 

Enrico Caruso, in arte Wecherù, nasce batterista e dal 2009 fa uno studio accurato di Multi-percussioni, risentendo delle influenze della musica latinoamericana, africana, cubana e spagnola. Da più di tre anni sta portando avanti un suo progetto da solista che ha chiamato “One man show”, un progetto che l’ha visto protagonista in alcuni importanti palcoscenici come Il Cleto Festival, il Teatro Temesa di Amantea ed anche nella trasmissione televisiva “Attraverso lo specchio” in onda su Goldtv, su Italia mia Rete locale campana e tanti altri, dove ha portato con sé il suo set di percussioni classiche ed elettriche, in grado di far da sfondo armonico allo strumento principale della sua orchestra, rintracciabile nel suo Handpan: è uno strumento di origini svizzere che riproduce melodie con il solo tocco delle dita, oltre alle sensazioni che accompagnano la memoria perduta e ritrovata, la musica con le sue strumentazioni.

 

Enrico si trasferisce a Roma e frequenta una scuola di musica, dove incontra i suoi primi maestri di musica, Massimo Rosati ed Ivo Parlati, ma i suoi continui viaggi lo riportano in dimensioni “oltre la superficie”, tanto che si appassiona di percussioni latinoamericane, successivamente l’incontro con il maestro Jack Tama sarà decisivo per la sua carriera; grazie a lui salirà su importanti palcoscenici romani, in particolare il Concerto di Africa Percussion sotto il castello di Bracciano ed in altri importantissimi locali di Roma (Zoobar, Stazione birra per citarne qualcuno).

 

Il suo primo disco da solista ha un nome, che si può conoscere nel suo album “Io sono mio padre”, una raccolta di strumenti e di brani che hanno fatto del disco e dell’artista un coacervo di emozioni, curiosità e tanta musica.

 

Comporre un disco di musica strumentale non è cosa da poco, cosa ti ha condotto a fare questo tipo di esecuzioni.  Ci illumini.

Ciao Matteo, intanto volevo ringraziarti per avermi dato questa magnifica possibilità di potermi presentare tramite questa intervista.

È ovvio pensare che la musica sia un concetto di linguaggio universale dove non servono le parole, ma ci si capisce semplicemente suonando, ma è anche e soprattutto un linguaggio personale che fa capire ciò che siamo veramente all’esterno, ed ho voluto farlo senza usare alcun tipo di parola, portando in scena un progetto di musica totalmente strumentale non perché io non apprezzi il cantato nelle canzoni, assolutamente, ma perché a volte la musica suonata, quel tappeto che sta al di “sotto” di ogni parola urlata da dietro un microfono rimane in secondo piano, come se non fosse importante ciò che esce fuori da una chitarra ma siano importanti sempre e solo i testi, ed è per questo che ho deciso di avvicinare le persone ad un progetto di musica strumentale affinché possano apprezzare anche e soprattutto la musica suonata.

 

 

 

Le tue collaborazioni ti hanno reso un personaggio in rete, sul web e sui social anche, una su tutte il Cleto Festival, ma anche una bellissima collaborazione con la casa produttrice Ama Cajon e soprattutto con la Battiloro Handpan, da cui deriva il tuo amato strumento musicale. Ci descrivi in breve queste tue collaborazioni. Cosa ti hanno lasciato nel tuo percorso musicale e anche umano?

Arrivare ad una collaborazione importante oppure  essere chiamati per suonare ad uno dei festival più prestigiosi della nostra regione ci rende entusiasti  sempre, pronti a dare il massimo.

Ho avuto il piacere di suonare al Cleto festival organizzato da Ivan Arella, bravissimo coordinatore che saluto affettuosamente, che mi ha lasciato piacevolmente colpito nonché mi ha lasciato una forte voglia di voler continuare su questo mio percorso musicale.

Successiva la collaborazione con Ama Cajon di Attilio Celona, un fantastico artigiano di Cajon, che mi ha fatto sentire veramente al centro dell’attenzione abbracciando nei suoi video il mio progetto di “one man show” ma soprattutto la mia prima vera collaborazione con la Battiloro Handpan di Giampaolo Battiloro, ragazzo partenopeo, imprenditore di successo nonché stimato amico che con i suoi strumenti ha dato il via alla mia carriera da “Handpan Player”, quindi ho capito che non c’è limite che possa fermarti, tranne i limiti che ci creiamo noi stessi nella nostra mente.

 

Hai sempre adorato il pianoforte con le sue melodie, hai sempre adorato l’Handpan per la sua dolcezza, quale abbinamento migliore ed elegante per una persona raffinata, ”potente”ed unica come te .
Dedicata alla persona che mi diede la vita e che dalla vita cerco costantemente di darle tutto, a volte sbagliando, a volte senza sapermi esprimere, a volte senza essere capito, una delle tue frasi presenti nelle melodie della tua musica, dedicato a tua madre”. Cos’è per te la musica. Perché la musica?

Beh hai ripreso un mio personale pensiero scritto per l’unica donna che amerò per sempre, mia madre.

Lei, come tutta la mia famiglia, sono stati il punto di riferimento nella mia vita ed in egual misura lo è stata la musica.

Quando stavo male, quando avevo un problema, quando tutto sembrava andare incredibilmente storto la mia famiglia e la musica mi sono sempre stati vicini, erano sempre con me, entrambi, a trovare le parole giuste per consolarmi… quindi non potevo far altro che prenderli con me e farne una ragione di vita, entrambi in egual misura ed importanza.

 

Potresti raccontare la tua collaborazione con il tuo maestro Jack Tama, a cui devi molti dei tuoi successi.

Jack è stata una persona formidabile, un maestro di percussioni che spiegava in maniera chiara e semplice anche l’esercizio più complicato, ha avuto un’importanza fondamentale nella mia carriera perché non si fermava alla semplice lezione settimanale ma mi portava sempre con lui nei suoi numerosissimi concerti ed in ogni suono di percussione mi innamoravo sempre di più del percorso che ho preso.

Ho capito li, affiancandolo in numerose serate, quando ancora era semplicemente uno studente alle prime armi con le percussioni, che avevo fatto veramente la scelta giusta.

Purtroppo due anni fa è venuto a mancare, lo ricorderò per sempre come una persona umile, sorridente e sempre con la battuta pronta, un maestro di vita, un amico che chiunque dovrebbe avere al proprio fianco.

 

Una riflessione critica sulle case discografiche, sulle etichette, sui talent, in accostamento ad una visione sociologica e antropologica sul valore della cultura. Ci vuoi dire qualcosa?

Nell’era della tecnologia più avanzata ognuno di noi ha la possibilità di potersi esibire e mostrare il proprio talento, ma questo sembra non essere la vera chiave per il successo.

Personalmente penso che i vari format ed i programmi televisivi stiano facendo perdere totalmente il significato di “talento” o almeno lo stanno “rielaborando” a modo loro lavorando ed investendo principalmente su ciò che possa essere più trash possibile e, a volte, tristemente ridicolo pur di arrivare a numeri da capogiro sui vari social network, trasformando ciò che ieri era considerato lo “scemo del villaggio” nell’artista di maggiore tendenza che firma contratti e cavalca molti palcoscenici importanti, mentre  un domani quando i numeri su youtube ed i followers su Instagram inizieranno a scendere, saranno scartati e buttati nel dimenticatoio

 

 

 

Un brano della tua musica a cui sei più legato. Se esiste ci spieghi il flusso emotivo di quella traccia e la correlazione con il periodo in cui l’hai composto.

Sono emotivamente legato al quinto brano del mio album, “Arabian Calabrian” che ho dedicato al mio paese nativo, Amantea, che porto sempre nel cuore ogni volta che devo andare via.

L’ho composta mentre ero proprio ad Amantea, usando un Handpan in scala araba creato ad-hoc, il motivo è molto semplice, la calabria, soprattutto Amantea, nella sua storia ha avuto molte influenze di altri popoli, in primis quelli arabi, quindi quale composizione migliore se non una musica arabeggiante per onorare la mia terra.

 

Un amore perso, una situazione che ora non c’è più è parte integrante della tua musica. Quali sono le sensazioni che ti affiorano quando inizi a scrivere per la musica e con le sue note ritmiche.

Per fare buona musica devi avere la mente ed il cuore liberi da qualsiasi ingombro, a volte capita di essere così emotivamente a terra da non riuscire a togliere fuori neanche un accordo, altre volte si è così euforici che si pensa sempre di aver creato il brano perfetto, è tutta una questione di vibrazioni e sensazioni quella che ci spinge a poter esprimere attraverso la musica ciò che si sente.

felicità, tristezza, emozione, amore.. Tutto va bene, l’importante è che l’emozione che ti ispiri sia vera e molto forte, deve farti sentire veramente vivo.

 

Cos è per te il ritmo. Cosa ti ha spinto a suonare l Handpan. Ce ne vuoi parlare?

Il ritmo è il suono della terra, è stata la prima musica prodotta già dai nostri antenati, è la linea dei balli più antichi, è stato lo squillo di allarme nelle le tribù dell’Africa nei tempo dello schiavismo ed è tutt’oggi il motore portante per ogni formazione musicale.

Personalmente sono rimasto sempre molto affascinato dai ritmi e dalle percussioni in generale, portando sempre più in là la mia curiosità ed  il mio bagaglio culturale in tutto ciò che era una percussione, ed è così che ho scoperto l’Handpan, grazie alla passione e alla mia curiosità nei suoni sempre nuovi ed innovativi.

 

Cosa ancora devi fare per sentirti al top nel tuo progetto, non solo da solista, ma in generale.

Non credo di potermi mai sentire al top, ogni volta che arrivo ad un obiettivo mi prefisso sempre quello successivo, non c’è un punto di arrivo nella musica e chi crede che ci sia un punto ultimo, sbaglia!

C’è sempre da mettersi sotto e studiare per migliorarsi, ogni giorno, anche se si arriva a diventare il migliore musicista al mondo non devi mai perdere di vista il fatto che prima di te c’era qualcun altro e che li fuori ci sono migliaia di persone che stanno lavorando duro per essere al tuo posto.

 

Un appello a chi non penseresti mai di dire qualcosa, ora che ne hai la possibilità fallo pure.

Voglio fare un appello a chi pensa che nella vita non sia possibile ambire a realizzare propri sogni. se parti con la convinzione che quello che fai non possa portarti a nulla allora hai perso in partenza, lasciate che siano gli altri a pensare che le cose siano impossibili, lasciate agli altri la mediocrità di pensare “io non ce la farò”, solo così sarete veramente padroni di voi stessi e della vostra vita, solo così potrete avere quella serenità di aver trovato il lavoro che amate, quello che non vi farà mai lavorare neanche un giorno nella vostra vita.

<<punta sempre alla luna, mal che vada avrai vagabondato tra le stelle>>

(Les Brown)

 

A cura di Matteo Spagnuolo