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“A Cosenza, se muore un medico, i suoi colleghi non curano un bambino perché troppo addolorati”

Il post con lo sfogo di Rosita Terranova, la mamma del bambino, sta facendo il giro del web:

 

 

Questo quanto pubblicato sul suo profilo Facebook:

A COSENZA, SE MUORE UN MEDICO, I SUOI COLLEGHI NON CURANO UN BAMBINO PERCHÉ TROPPO ADDOLORATI.

NO, NON È UNO SCHERZO… È QUANTO ACCADUTO A MIO FIGLIO STAMATTINA.

Mio figlio Antonio Maria, bimbo di 10 anni gravemente disabile e handicappato dalla nascita, incapace di essere autonomo in tutto, totalmente dipendente da macchinari, da medicinali e da assistenza continua e costante 24 ore su 24, aveva bisogno urgente di essere visitato:
agli occhi, per una cataratta seria.
Ai denti, perché stanno spuntando i nuovi che non trovano spazio e che gli causano, perciò, dolori lancinanti.
E alle orecchie per monitorare il suo deficit uditivo che non gli permette di progredire con le terapie cognitive che fa.

Le tre visite erano state programmate per il giorno 8 gennaio.
E andavano fatte in sala operatoria perché, essendo un bimbo affatto collaborativo, andava sedato.

L’ospedale di Cosenza accoglie le mie richieste e ieri mattina prestissimo ci riceve per la preospedalizzazione.

A me chiedono di farmi un tampone (in studio privato) e di portarne il risultato, a lui prelevano sangue e fanno il tampone.

“Ci vediamo l’otto mattina alle 7.45 come già programmato giorni fa, signora”, mi dicono.

“Si ricordi di non fare mangiare e bere suo figlio dalla mezzanotte (il mio bimbo si deve nutrire con una macchina e con cibo artificiale per 16 ore al giorno)”.

Così faccio e stamattina mi sveglio alle 5.
Antonio Maria si era addormentato alle 4.30 (la sua patologia gli porta scompenso sonno-veglia).

Arriviamo, con mille sacrifici, in perfetto orario e mi dicono:
“purtroppo, a causa della tragica morte di un nostro collega che si è tolto la vita ieri sera, oggi non si fa nulla.
Si faccia sentire la prossima settimana così vi facciamo rivenire”.

Ora, fermo restando che sono io stessa addolorata per la morte di quel medico e per la sofferenza della sua famiglia e sottolineando che tra i medici e gli anestesisti che dovevano visitare mio figlio non c’era quel povero dottore, mi chiedo: possono, in un ospedale pubblico, rifiutarsi di fare visite urgenti, fondamentali e, soprattutto programmate, ad un bambino che lotta ogni cazzo di giorno perché vuole vivere poiché sono affranti per la morte di un loro collega?

Possono, in un ospedale pubblico, timbrare un cartellino, prendersi quindi lo stipendio, ma non lavorare perché addolorati dalla dipartita di un collega?

Ed io, che faccio di tutto per restare in vita nonostante la mia sia una vita colma di sofferenza e soprusi continui, posso accettare serenamente una risposta del genere?

Ovviamente, no.

Ed ovviamente, anche stavolta, sarò costretta a pagare un avvocato per l’ennesimo diritto alla salute negato a mio figlio, di cui- anche in questo caso- ho varie prove documentali.

Dove cazzo siamo arrivati se i medici di un ospedale pubblico, tra l’altro, negano le cure ad un bambino inerme ed indifeso, costantemente bisognoso di cure mediche, sol perché dispiaciuti per la morte di un loro collega?

Vale più la morte del collega o la vita di un bambino gravemente disabile e handicappato?

La risposta, a me, è stata data stamattina: “signora, deve capire, è una situazione delicata…”.

Certo, invece, quella di mio figlio no.

(Rosita Terranova)