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Lettere 2.0: “Vi racconto il nostro incubo con la sanità calabrese …che si è portata via mio papà”

Riceviamo il racconto della nostra lettrice Lucia:

Buongiorno. Vi voglio raccontare quello che ci è capitato, perchè ritengo che tutti debbano sapere, anche se è passato un po di tempo, ma io non prendo pace…

A fine dicembre dell’anno scorso inizia l’incubo più brutto che ci poteva capitare: Mio papà di 68 anni cade testa indietro da alzato, riportando uno scompenso cardiaco. Di corsa all’ospedale con l’ambulanza dopo che a casa sembrava già morto. Ringraziando la prontezza di mia madre, tra acqua e respirazione bocca a bocca (fatta non in modo professionale vista anche la paura della situazione), dopo un po di tentativi riesce a rianimarlo.

Partiamo per l’ospedale, l’Annunziata degli orrori, lui in ambulanza, noi in macchina. Arrivato in pronto soccorso è un Dott. cubano a visitarlo. Iniziano con il fargli la Tac, che confrontano con quella dell’anno precendente. Nel frattempo passa la notte e il mattino seguente, una Dottoressa Italiana, che ne sapeva meno di quello cubano, decide che per lo scompenso cardiaco (e non per la caduta) andava fatta un’altra Tac.

Così lo mandano in una clinica sul tirreno cosentino, ma per toglierselo dai piedi, visto che il pronto soccorso era stracolmo di malati.

Arrivati qui viene collocato in cardiologia, gli assegnano il letto e mia madre e mio fratello lo salutano. Nel reparto era già passata l’ora serale delle visite. Papà non riconosce mio fratello e lo confonde con un altro, mamma lo fa notare al medico di turno che se ne infischia e non la fa restare per la notte.

Papà resta senza cellulare perchè scarico, dopo che il giorno precedente è stato tutta la notte nel pronto soccorso dell’ Annunziata. Ci forniscono un numero fisso e andiamo via. Saremmo dovuti andare il giorno dopo per l’orario delle visite.

Il mattino seguente un amico, prete di famiglia, si reca alla clinica per chiedere informazioni su di lui, e la loro versione, data poi anche a noi, è stata che “ha passato una notte agitata ma tutto ok”…

Questo alle 9 del mattino. Tra la visita del nostro amico, a cui non lo hanno fatto vedere, e la stessa versione data a noi al telefono, dopo meno di 4 ore, ovvero alle 12:30, chiamano mamma dicendo che sta tornando in ambulanza URGENTE per emorragia celebrale.

Urgente cosa voleva dire per loro??? Ve lo dico subito. Arrivare alle 16:30 (dalle 12:30 in cui si diceva che era in partenza urgente) fino a Cosenza, dove arriva non cosciente. Arrivato con la stessa ambulanza di San Marco Argentano che il giono precedente lo aveva portato da roggiano a Cosenza.

Non c’era un mezzo più veloce, più vicino? Nessun elisoccorso se era “urgente”? Non l’ha ritenuto opportuno il primario del reparto… All’Annunziata entra in reparto di neuropsichiatria, in una stanza con altri due pazienti. La prima notte ci sta mamma e le altre 2 notti io. Respira a fatica, è cosciente a tratti, ma dicono che ‘è normale’ con sbalzi di battiti cardiaci a 350…

Gli aspiravano i muchi solo se li chiamavi, con tutti quei pazienti in gravi condizioni, poco personale soprattutto la notte. Caposala severa, ma con un cuore che capiva le situazioni gravi e la nostra era gravissima. Ci si mette anche il Covid ad aggravare la situazione, diventiamo stanza covid, segregati senza uscire neache in corridoio, ma io almeno ero vicino papà.

La prima notte l’ossigenazione scende sotto gli 80 e decidono di attaccarlo al macchinario che faceva circolare l’ossigeno di continuo (Aalti flussi), è stato sempre sveglio, ma parlava come se fosse stato 20 anni prima. Parlava di persone decedute, ma a volte era consapevole di essere in ospedale. Terzo giorno sempre febbre da Covid, monitorata con il loro termometro da me, quando era superiore a 38 gli mettevano la flebo di paracetamolo. Passa cosi il nostro dopo-Natale e Capodanno.

La mattina seguente un’oss in divisa bianca, che non dimenticherò mai il suo viso, ci fa uscire dal reparto a me e al parente del signore di fronte il letto di papà, perche era una stanza Covid (e te ne accorgi dopo 3 giorni???), Con il cuore a pezzi e consapevole dove lo stavo lasciando, senza nessun affetto e attenzione e calore umano, vado via.

Tampone covid per 2 giorni di fila, ma io non ho contratto il virus, anche essendo stata lì con le dovute accortezze. La sera del 2 gennaio alle ore 18, orario visite, entro e lo trovo con 2 bottigliette di ferrarelle congelate sull’inguine e con il polso legato al letto…

Nè è stato cambiato, nè aveva bevuto l’acqua (perché è tutto nella flebo dicevano) ma non c’era l’umanità nella flebo e il calore umano a bagnargli le labbra a chi lo chiedeva. Non so come si fa a lasciare un pezzo di cuore e andare a casa, ma non avevo scelta.

Aspettiamo le ore 12 di giorno 3 gennaio che andasse mamma. Era negativo al Covid ma comunque grave e con due polsi ancora legati, perché si toglieva il saturimetro e la flebo. ‘Per il suo bene’ dicevano… !!!

Alle 18 vado io, mi saluta, ci riconosce, ma alle 18:50 anche con gli alti flussi l’ossigeno scende a 76. Chiamano gli anestesisti della rianimazione e alle 20:30, intubato e sedato, lo scendono in rianimazione, dicendo di provarci, che soffriva troppo…

Da quella porta bianca non è più uscito se non alle 00:05 del 4 gennaio, per andare nella torretta. I miei figli non hanno più il loro nonno, mamma suo marito e io mio padre.

La sua amata Calabria l’ha ucciso, la cattiveria e l’indifferenza di chi un lavoro con persone malate non dovrebbe farlo perché incapace e senza umanità. E allora… tutta la sofferenza dei malati maltrattati, la auguro a chi permette tutto questo. Da politici a personale sanitario, le pene di 7 giorni che ha sofferto mio padre, morto a 68 anni compiuti da solo 1 mese… e le pugnalate al cuore a ogni mattone posato per chiudere l’loculo.

(Lucia)